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“Il visconte dimezzato” di Italo Calvino. L’uomo di fronte all’eterno senso di incompletezza.

  • Writer: Carlo Colombo
    Carlo Colombo
  • Jun 9, 2021
  • 3 min read

Updated: Nov 9, 2021

“Quando ho cominciato a scrivere "Il visconte dimezzato", volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso e possibilmente per divertire gli altri; avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema dell'uomo tagliato in due, dell'uomo dimezzato, fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l'altra.”

Questo è quello che Calvino ci ha detto in una sua intervista: penso che a questo punto non ci sia più bisogno di altre spiegazioni e possiamo passare alla trama.

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Medardo, visconte del paese ligure di Terralba, arriva insieme allo scudiero Curzio all'accampamento cristiano in Boemia, per partecipare alla guerra contro i Turchi. Il giovane nobile durante la sua prima battaglia viene colpito da una palla di cannone in pieno petto, che lo divide letteralmente in due. Viene ritrovata solo la parte destra, mentre si pensa che l'altra sia andata perduta per sempre. I medici del campo riescono a fasciarla e ricucirla, cosicché il visconte, dopo la guerra, può far ritorno a Terralba. Qui i suoi sudditi si rendono conto che la parte tornata è quella malvagia, che si sbizzarrisce in angherie e nefandezze: tutto ciò gli vale il soprannome de "il Gramo". Ad un certo punto della vicenda Medardo si innamora di Pamela, una contadinella, ma per punirla d'averlo rifiutato si vendica danneggiando la sua famiglia.

Il nipote del nobile, voce narrante, è solito accompagnare il dottor Trelawney, un medico che è stato un tempo sulle navi dell'esploratore James Cook in giro per il mondo: i due fanno ricerche sui fuochi fatui appostandosi di notte nei cimiteri. Il ragazzino frequenta anche una comunità di ugonotti, facendo amicizia con Esaù il figlio di Ezechiele. Quest’ultimo è a capo della comunità.

È a Pratofungo, paese dei lebbrosi, che un giorno torna la parte sinistra del visconte (la metà buona), salvata da alcuni eremiti con pozioni ed erbe magiche, che esordisce salvando il nipote dal morso velenoso di un ragno. "Il Buono” predica dottrine per i poveri e i lebbrosi, chiedendo di abbassare i prezzi dei prodotti agricoli agli ugonotti che abitano vicino al castello; crea però altri danni e confusione che vanno ad aggiungersi alle vessazioni del “Gramo” e portano la gente di Terralba a vivere disorientata fra le imprese dell'una e dell'altra delle due metà. Anche il “Buono” si innamora di Pamela, che ancora una volta rifiuta il pretendente.

Il “Gramo” discute con la madre della ragazza del piano architettato per prendersi Pamela: anche facendola sposare con l'altra metà, di fronte alla legge avrebbe comunque sposato Medardo di Terralba, quindi anche lui. Il “Buono”, invece, comunica al padre di voler lasciare la città, permettendo al Gramo di sposare la giovane. La contadina, però, incontra ambedue le metà del visconte e rassicura entrambi sulla riuscita del matrimonio.

Arrivato il giorno della cerimonia, il “Buono” e il “Gramo” sono sicuri del successo della propria idea, e primo ad arrivare alla cappella del castello è il “Buono”, che sposa Pamela. Il “Gramo” lo raggiunge poco dopo, scoprendo di avere effettivamente un rivale, lo sfida a duello per l’indomani all’alba. Dopo una serie di finte e colpi mancati, entrambe le metà tagliano le bende e le cuciture dell'altra. Il dottor Trelawney, che aspettava questo evento straordinario, riesce a riunire le due metà ricostruendo il visconte Medardo avendo la grande abilità di far combaciare tutti i visceri e le arterie dell’una parte e dell’altra, legandoli con un chilometro di bende. Dopo diversi giorni e notti vegliato dall’occhio attento della balia Sebastiana Medardo guarisce e Pamela esclama: “Finalmente avrò uno sposo con tutti gli attributi”.

Al termine della fiaba, il nipote di Medardo, voce narrante, ci dice che lo zio ebbe vita felice, molti figli e un buon governo. Anche la vita della collettività mutò in meglio, anche se non arrivò un’epoca di felicità meravigliosa: “ma è chiaro che non basta un visconte completo perché diventi completo tutto il mondo”.


Ognuno di noi, dopo questa lettura, può riflettere sulle proprie metà inascoltate, che sempre spingono per manifestarsi. Nello stesso tempo, forse, ci sentiremo più stimolati a riconoscere anche i nostri difetti. Questo ci aiuterà a diventare più comprensivi nei confronti di quelli degli altri. Senza dimenticare che il “Il visconte dimezzato” è una storia allegra e dal tono fanciullesco. Calvino non vuole insegnare ma, semplicemente ricordare, con la leggerezza che lo contraddistingue, che tutti siamo un delicato equilibrio di bontà e cattiveria, cinismo e tenerezza: è proprio dall’incontro di questi opposti che il nostro essere al mondo, trova una sua definizione. A noi tocca farli incontrare.

 
 
 

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