Hai mai provato a pensare con le mani?
- Carlo Colombo

- Mar 14, 2021
- 2 min read
Updated: Apr 16, 2021
Tutto ha avuto inizio con un mattoncino in legno per divertire i bambini, poi si è passati alla plastica e da, qualche tempo, è diventato una cosa per adulti che vogliono cimentarsi in un nuovo gioco: “pensare con le mani”. Sembra una contraddizione, ma non lo è. Alla base di tutto c’è il funzionamento del nostro cervello.Basta guardare un bambino, quando è intento a fare qualcosa.
Da piccoli utilizziamo le nostre mani per relazionarci con il mondo esterno, provando una certa meraviglia, compiacimento per quello che riusciamo a fare. Comunichiamo e apprendiamo nello stesso momento, attraverso un’esperienza sensoriale.
È come se il nostro pensiero venga “preso per mano” e trasformato in un’azione. Per dare forma creativa alle nostre idee le prendiamo tra le dita, le rigiriamo, le buttiamo in aria, a terra, le tocchiamo più volte, le mostriamo agli altri.
Già nel secolo scorso, Maria Montessori aveva scritto che: “le mani sono gli strumenti propri dell’intelligenza dell’uomo”. Oggi, le neuroscienze ci dicono che l’impulso istintivo del gioco nasce nel cervello, non deve essere appreso. Quando giochiamo il nostro cervello produce dopamina, un neurotrasmettitore che è il maggiore responsabile del moto, della memoria, del nostro comportamento, delle capacità cognitive, dell’attenzione, dell’apprendimento, dell’umore e, financo, del sonno. “Giocando, siamo più disponibili a metterci (rimetterci) in gioco”, diventiamo più flessibili, creativi, pronti anche a seguire, accettare le idee degli altri: il fare, stimola a pensare diversamente, spinge, accelera il nostro processo cognitivo.
Sappiamo che il gioco aiuta a sentirci interamente assorbiti e concentrati sull’attività, perdiamo felicemente la cognizione del tempo. La nostra mente viene distratta dai problemi contingenti, i pensieri fluiscono dalla testa alle mani che diventano uno strumento creativo di trasformazione, di sviluppo delle nostre capacità e competenze. Ci sentiamo più liberi, noi stessi. E, se poi aggiungiamo la componente sociale del giocare insieme, allora “il gioco è fatto”: l’apprendimento dell’esperienza si amplifica grazie allo scambio e all’interazione tra le persone.

Bene, allora cosa aspettiamo a riprenderci i nostri giochi? A ricominciare ad assaporare il gusto del gioco? E, se non l’abbiamo ancora fatto, possiamo acquistare una scatola di Lego. "Per chi?" , voi direte. "Per noi stessi", rispondo. Magari, invitiamo qualcun altro a giocare insieme. Potremmo chiamare il nuovo gioco: “fare, disfare, pensare”.
Aggiungo ancora una frase ripresa dal libro: "La chiave a stella" di Primo Levi, pubblicato nel 1978: "Guardi che fare delle cose che si toccano con le mani è un vantaggio; uno fa i confronti e capisce quanto vale. Sbaglia, si corregge, e la volta dopo non sbaglia più".



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