"Il vecchio che leggeva romanzi d'amore" di Luis Sepùlveda. Alla ricerca del senso della vita.
- Carlo Colombo

- Apr 12, 2021
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Updated: Apr 14, 2021
Ogni sei mesi nel villaggio di El Idilio, ai margini della foresta amazzonica, arriva il Sucre una piccola imbarcazione a motore che porta, attraverso il fiume Nagaritza, il dottor Rubicundo Loachamìn, dentista. A turno gli abitanti si siedono sulla poltrona portatile collocata sul molo e si fanno curare i denti. Soprattutto coloro che sopravvissuti alla malaria, stufi di sputare i resti della dentatura sono ansiosi di avere la bocca libera, per provare "una delle protesi bene ordinate su un tappetino violetto dall’aria cardinalizia".
Ma tra loro c’è chi aspetta con ansia il dottore per altri motivi. Per lui, Antonio José Bolìvar Proano, amico di vecchia data, il dottore ha sempre due nuovi romanzi d’amore.
Antonio vive in una capanna sulla riva del fiume e, appoggiandosi su un tavolo alto, costruito appositamente per contrastare il mal di schiena, legge avido con l’aiuto di una lente d’ingrandimento, unico bene prezioso insieme alla dentiera, le storie dei grandi amori. “Leggeva lentamente, mettendo insieme le sillabe, mormorandole a mezza voce come se le assaporasse, e quando dominava tutta quanta la parola, la ripeteva di seguito, Poi faceva lo stesso con la frase completa, e così si impadroniva dei sentimenti e delle idee plasmati sulle pagine”. Questa sua scelta non era casuale. Aveva trascorso ben cinque mesi nella biblioteca della scuola di El Dorado per decidere cosa gli piacesse leggere o meno. Aveva scartato i libri di geometria, di storia. Per metà del suo tempo si tenne occupato con la lettura di Cuore di Edmondo De Amicis "... ma batti e ribatti una sera si disse che tutta quella sofferenza era impossibile e tutta quella sfortuna non entrava in un solo corpo…”
“Alla fine dopo aver esaminato tutta la biblioteca, trovò quello che davvero desiderava.. nel Rosario di Florence Barclay c’era amore, amore da tutte le parti…la lente di ingrandimento gli si appannava di lacrime”.

Il dentista sta per ripartire quando una canoa porta nel villaggio il cadavere di un gringo barbaramente ucciso. Il sindaco accusa subito gli stessi shuar che lo hanno trasportato, ma l’esperienza del vecchio Antonio rivela che ad uccidere l’uomo, un cacciatore di frodo, è stato un tigrillo, anzi, la femmina di un tigrillo infuriata per la morte dei suoi cuccioli uccisi dall’uomo stesso.
Per Antonio la vita non è stata delle più felici. Quando era tredicenne si fidanzò con un ragazza, Dolores Encarnaciòn del Santìsimo Sacramento Estupinàn Otavalo, che in seguito sposò. I due però non riuscivano ad avere bambini e, per evitare le chiacchiere delle malelingue del paese natio, decisero di emigrare a El Idilio. Dopo due anni la donna morì a causa della malaria e Antonio andò a vivere con gli shuar, una popolazione indigena che si era ritirata nella foresta. Così imparò tutto sulle piante e sugli animali che la popolavano; diventò un esperto cacciatore anche senza l'uso dei fucili, ma con semplici dardi avvelenati.
Un giorno Nushino, uno dei suoi migliori amici fu ucciso da un cercatore d’oro. Antonio lo volle vendicare. Assolse il suo compitò. Commise però l’errore di usare la doppietta sottratta al nemico, anziché uno dei suoi dardi avvelenati. Questo voleva dire una sventura eterna per il suo compagno. Per questo fu cacciato dalla comunità degli shuar e ritornò a El Idilio.

Nei giorni che seguono altre vittime dell'animale arrivarono morte o quasi al villaggio. Tra di esse c'era la mula di Miranda Alkaselzer un colono che si era stabilito a circa sette chilometri da El Idilio e gestiva uno spaccio per cercatori d'oro. Il sindaco decise allora di fare una spedizione verso quella capanna. All’indomani partirono in quattro, compreso Antonio e il sindaco. Ma la presunzione, l’incapacità, la goffaggine di quest’ultimo resero difficili la marcia e aumentarono il rischio di essere uccisi dalla belva. Gli uomini ragginsero l'abitazione di Miranda e lo trovarono morto assieme ad un altro gringo, Plascencio Punan. Resosi conto della sua inadeguatezza e provando molta paura, il sindaco decise di tornare a El Idilio con il resto della spedizione e di incaricare Antonio di uccidere il tigrillo. In cambio gli promette una ricompensa di cinquemila sucres. Il vecchio accetta.
La mattina seguente esce dalla capanna di Miranda e inizia a seguire le tracce del tigrillo. Dopo poco lo scorge e rimane immobile aspettando che l'animale passi all'attacco. Rimane in quel luogo fino a sera e, vedendo che la femmina continuava a girargli intorno attendendo anche lei, decide di trovare un rifugio. Appena si muove, però, la belva lo attacca spingendolo con le zampe anteriori verso la sponda del fiume. Lì Antonio vede il maschio che stava morendo e comprende che il tigrillo lo aveva condotto in quel luogo per finirlo. “Mi dispiace, compagno. Quel gran figlio di puttana di un gringo ci ha fottuto la vita a tutti”. Allora l'uomo uccide la bestia rantolante con un colpo di doppietta.
In seguito si riparò, per la notte, sotto una canoa rovesciata poco lontano da quel luogo. La mattina seguente il vecchio si accorse che il tigrillo era sopra il suo rifugio. All'improvviso sentì un forte odore di piscio, vide i suoi artigli e sparò verso la zampa, non accorgendosi di aver colpito anche il proprio piede. “Erano pari, erano feriti tutti e due”.
La femmina si allontanò dalla canoa e lui uscì all'aperto. Si accovacciò aspettando l'attacco dell'animale, che non tardò molto ad arrivare. Infatti, poco dopo il tigrillo corse verso di lui e spiccò un salto. Antonio, allora, sparò e colpì la femmina sul ventre. Quando la vide morta, “con gli occhi annebbiati dalle lacrime, la spinse nel fiume, verso le rapide dove sarebbe stato squarciato da pugnali di pietra, in salvo per sempre dalle bestie indegne”. “Poi tornò a El Idilio imprecando, lungo la strada, contro il gringo primo artefice della tragedia, il sindaco, i cercatori d’oro, tutti coloro che corrompevano la verginità della sua Amazzonia”.
“Tornò alla sua capanna, ai suoi romanzi, che parlavano d’amore con parole così belle che a volte gli facevano dimenticare la barbarie umana”.

In questa lotta, in questo eterno confronto fra la vita e la morte, l’animale, non rappresenta il nemico. Costituisce, invece, l’emblema di un senso di colpa verso la natura ferita. Il romanzo di Luis Sepúlveda (1949-2020) ci porta, insieme alla denuncia, un’irriducibile capacità di sperare. E di sognare, come succede al vecchio Antonio quando legge i suoi romanzi d’amore e credo succedesse anche a Sepulveda, quando si metteva a scrivere.



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